A ll’interno del dibattito sulla modernizzazione del settore pubblico viene spesso a determinarsi una contrapposizione tra l’approccio istituzionale e quello manageriale.
Secondo l’approccio istituzionale la riforma delle pubbliche amministrazioni transita da un riassetto complessivo dei poteri e delle funzioni dei diversi livelli di governo e al tempo stesso si fonda su di un adeguamento generale del quadro delle regole di sistema. Il veicolo del cambiamento è, in questo caso, principalmente rappresentato da una modifica delle norme che si propone di indurre una trasformazione delle funzioni, delle responsabilità formali e dei processi amministrativi dei diversi enti pubblici.
L’approccio manageriale, al contrario, considera la norma come un vincolo o una condizione di contesto rispetto allo sviluppo di processi evolutivi fortemente centrati sull’esercizio responsabile di autonomia da parte delle singole amministrazioni. Il veicolo del cambiamento è, di conseguenza, principalmente rappresentato da un adeguamento dei modelli di gestione e delle competenze professionali che si propone di migliorare la capacità di valorizzazione delle risorse amministrate e di perseguimento dei fini istituzionali.
Si tratta, a evidenza, di prospettive e chiavi di lettura dei processi di cambiamento differenziate ma, al tempo stesso, sempre più complementari.
Il pieno dispiegarsi del management all’interno del settore pubblico presuppone, infatti, una serie di condizioni che solo le riforme sul piano istituzionale possono garantire. Tra le più rilevanti si possono ricordare:
– il miglioramento della qualità del quadro giuridico complessivo, attraverso un processo di semplificazione e coordinamento della legislazione vigente che sia in grado di assicurare al minimo il requisito essenziale della certezza del diritto e, più compiutamente, non costituisca un ostacolo al perseguimento degli obiettivi di efficacia ed efficienza degli enti;
– una chiara definizione delle competenze facenti capo ai diversi livelli di governo, nonché degli eventuali gradi di libertà connessi, tale da consentire la definizione della mission e dei confini dell’intervento dei singoli enti; ciò appare, infatti, un requisito essenziale per l’elaborazione della strategia e la messa a fuoco delle scelte di posizionamento degli enti rispetto al contesto di riferimento, ovvero rispetto agli ambiti di intervento ed all’azione degli altri attori in esso operanti;
– il ridisegno del sistema di relazioni all’interno del settore pubblico, sia di natura amministrativa che finanziaria, al fine di garantire al tempo stesso una migliore responsabilizzazione dei singoli enti rispetto ai risultati da produrre e il superamento di complessi processi decisionali inter-istituzionali; ciò significa un ripensamento dei meccanismi di finanziamento e di salvaguardia degli equilibri economico-finanziari degli enti, un adeguamento delle modalità di programmazione, indirizzo e controllo, la previsione di forme flessibili di confronto e di condivisione delle risorse tra gli enti, la definizione di tempi certi per l’assunzione delle decisioni;
– l’adeguamento dei principi e dei sistemi di responsabilizzazione degli enti e di coloro che, pro-tempore, ne assumono le funzioni di governo e gestione; rientrano in questa prospettiva la revisione del sistema dei controlli (nella direzione di una maggiore enfasi su aspetti sostanziali, rispetto a quelli relativa alla semplice correttezza amministrativa), della disciplina delle responsabilità dell’amministratore e del dipendente pubblico, del sistema degli incentivi e delle sanzioni collegati alle performance realizzate dagli enti;
– non da ultimo, la qualificazione del quadro competitivo all’interno del quale si esercitano le funzioni pubbliche, attraverso la definizione del ruolo da riconoscere al mercato e al libero dispiegarsi della concorrenza, piuttosto che a politiche di più o meno restrittive regolamentazione.
È altrettanto vero, in senso opposto, che la qualità e l’efficacia delle riforme istituzionali risultano essere fortemente influenzate dall’apporto del management. Ciò vale almeno dai seguenti punti di vista:
– l’approccio e le discipline manageriali hanno svolto e possono svolgere in prospettiva un ruolo rilevante nel processo di messa a fuoco dei principi cardine e delle linee guida dei processi di riforma; concetti ormai consolidati, come quelli di efficacia, efficienza, economicità, sono entrati nell’“agenda del riformatore” proprio grazie all’influenza del management; in un percorso più avanzato di innovazione dell’intervento pubblico, le istanze di decentramento e sussidiarietà proprie delle riforme istituzionali, trovano conferma e ispirazione nei principi di autonomia e responsabilizzazione, cooperazione e integrazione, propri dell’approccio manageriale; in altri termini, e questo vale nell’esperienza dei principali paesi industrializzati, il management può al tempo stesso contribuire alla definizione dei principi ispiratori delle riforme istituzionali e garantire un contributo attivo e propositivo per la concreta progettazione delle stesse;
– é tipico, inoltre, del management, il governo della fase attuativa delle riforme, tradizionale aspetto di crisi dei processi di cambiamento dei sistemi complessi, in particolare pubblici; in questo senso diviene fondamentale la capacità di andare oltre la fase progettuale e di formalizzazione del disegno di riforma; l’approccio manageriale fornisce, da questo punto di vista, un contributo essenziale nelle diverse fasi concatenate di definizione delle modalità e dei tempi di attuazione delle riforme, di verifica sull’effettivo grado di realizzazione dei programmi, di analisi e valutazione delle difficoltà attuative e di eventuale rimozione degli ostacoli emergenti, di valutazione dei risultati prodotti attraverso i processi di riforma, di elaborazione di ipotesi evolutive dei percorsi di riforma alla luce degli esiti delle diverse fasi di attuazione degli stessi;
– non da ultimo, il management, garantisce la funzionalità e l’efficacia delle riforme in atto, fornendo un contributo determinante al miglioramento delle modalità di gestione e sviluppo (in termini più generali, di funzionamento) dei singoli enti pubblici; ciò rappresenta evidentemente una condizione essenziale affinché le riforme istituzionali e degli assetti complessivi di sistema si traducano in processi amministrativi e servizi in grado di generare valore finale per il cittadino.
Non si ritiene quindi utile, in sostanza, ricercare un “primato” tra riforme istituzionali e riforme manageriali nel contributo fornito al miglioramento del settore pubblico. Tanto meno convince l’ipotesi di autosufficienza di uno dei due piani di intervento. Eppure, non va sottovalutato, i due approcci spesso appaiono tra di loro non in sintonia ed espressione di idee, valori guida, modi di interpretare i problemi, molto distanti e a volte addirittura contrapposti.
Nei sostenitori delle riforme istituzionali si combina così a volte la non piena comprensione del management correttamente inteso (e l’identificazione dello stesso con logiche e metodologie dell’impresa privata), con una sorta di sfiducia in merito all’apporto effettivo dello stesso al cambiamento delle amministrazioni pubbliche. Viceversa, i fautori delle riforme manageriali, rischiano spesso di sottovalutare le necessarie coerenze e condizioni istituzionali per sostenere i processi di trasformazione degli enti e del settore pubblico nel suo insieme.
È proprio, allora, il superamento di queste visioni parziali e semplificate e la capacità di ricondurre a sintesi approcci in realtà complementari, che può determinare la qualità, l’effettività e l’efficacia finale dei processi di riforma intrapresi.